Diary of a costume designer
L'importante non è ciò che appare ma il percorso che si è compiuto per raggiungere quel risultato. Da questo mio modo di vedere nasce questo blog,per raccontare quello che c'è dietro lo specchio,cosa c'è dietro un sipario,un sfilata,un illustrazione. Appunti di viaggio dove ogni immagine,ogni esperienza diventa un momento per riflettere sul processo creativo,che è l'unica cosa che rimane,l'unica cosa che ci permette di andare avanti e continuare a sperimentare nuove forme. Chiara Aversano
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lunedì 27 maggio 2013
venerdì 12 aprile 2013
LA GABBIA DI FRIDA attraverso le mie mani
''L'apparenza inganna: gli abiti di Frida Kahlo" è il nome della mostra che racconta la pittrice messicana e il controverso rapporto col suo corpo, martoriato da malattie e incidenti, attraverso il suo guardaroba,ed in occasione di questo evento voglio raccontarvi attraverso delle immagini come ho costruito ed interpretato il busto ortopedico di Frida per uno spettacolo teatrale andato in scena due anni fa,il titolo è ''Frida dei Dolori'' tratto da un testo di Rocco D'Onghia per la regia di Matteo Tarasco.
Partendo da questo dipinto ho studiato i busti ortopedici portati dalla pittrice per comprenderne la costruzione.
Dalla Fusione dell'immagine cruda rappresentata da Frida,dove il Busto è la ''Colonna portante'' della sua anima,ho voluto riprenderne la forma rispettandone comunque la funzione medica.
E dopo Tanto lavoro questo è stato il risultato:
E Chissà se questa pittrice che attraverso il suo dolore ha dato il 'la' ad una corrente definita pop surrealismo, senza la sua gabbia sarebbe riuscita a volare così in alto.
venerdì 29 marzo 2013
SIGNS OF SKIN
La parola pelle deriva dal latino pellis, da una radice indoeuropea *pel- con il senso di rivestimento, sostituì il latino cutis,in greco pélla (recipiente di cuoio per il latte),antico alto tedesco fel,in inglese film (pellicola) partendo da questa ultima definizione, possiamo dire che la pelle è la pellicola che riveste ciò che agli occhi non è visibile , forse per questo fin dagli albori dell'umanità ,molto prima della necessità di coprirsi,la pelle ha assunto un valore fortemente simbolico,di fatto la pelle può essere considerato il primo veicolo attraverso cui manifestare il proprio status sia sociale che spirituale.
Nei secoli un accento è stato posto sul valore sociale attribuito al colore della pelle, questo ha dato origine a differenziazioni razziali; nella società occidentale la carnagione chiara era attribuita alle classi alte al contrario carnagioni scure alle classi contadine
anche in oriente ed in particolare in Giappone questo gusto estetico pare essere arrivato dalla Cina in epoca Tang (VII-VIII).
La prima testimonianza di tatuaggio risale al 5300 A.C. sul corpo di un uomo congelato rinvenuto sulle alpi italo-austiache nel 1991,
impressi nella pelle dell'uomo evidenti segni ottenuti probabilmente incidendo la pelle e sfregando carbone polverizzato su di essi.
Le pitture funerarie dell'antico Egitto mostrano tatuaggi sui corpi delle danzatrici, tatuaggi rinvenuti anche su alcune mummie femminili (2000 a.C.).
Purtroppo la storia del tatuaggio non può essere descritta in modo rettilineo per la mancanza di reperti e testimonianze, ma sappiamo che in epoche e luoghi diversi ebbe valori differenti così mentre
i Celti adoravano divinità animali ed in segno di devozione
se ne tracciavano i simboli sulla pelle,
tra gli antichi romani, che credevano fermamente nella purezza del corpo umano, il tatuaggio era vietato ed adoperato esclusivamente come strumento per marchiare criminali e condannati,solo in seguito alle battaglie con i britannici che portavano tatuaggi come segni distintivi d'onore, alcuni soldati romani cominciarono ad ammirare la forza dei nemici ed i segni che portavano sul corpo, così cominciarono essi stessi a tatuarsi sulla pelle i propri marchi distintivi. Fra i primi cristiani era invece diffusa l'usanza di osteggiare la propria fede tatuandosi la croce di Cristo sulla fronte. | |
Nel 787 d.C. Papa Adriano proibì nuovamente l'uso del tatuaggio ma la ''necessità'' volle che nell'undicesimo e dodicesimo secolo gli stessi crociati furono costretti a portare sul corpo il marchio della Croce di Gerusalemme, questo permetteva, in caso di morte sul campo di battaglia, di fare in modo che il soldato ricevesse l'appropriata sepoltura secondo i riti cristiani.
Dopo le Crociate, il tatuaggio sembra nuovamente scomparire dall' Europa. | |
Nei primi anni del 1700, i marinai europei vengono a contatto con le popolazioni indigene delle isole del Centro e del Sud Pacifico e dagli appunti del capitano Cook (1769), sappiamo che uno dei metodi principalmente utilizzati dai tahitiani per tatuare era quello di servirsi di una conchiglia affilata attaccata ad un bastoncino Nelle isole del Pacifico il tatuaggio aveva una grande valenza culturale,per esempio quando le ragazze tahitiane raggiungevano la maturità sessuale le loro natiche venivano tatuate di nero, quando sofferenti, gli Hawaiani si tatuavano tre punti sulla lingua,
In Borneo gli indigeni si tatuavano un occhio sul palmo delle mani come guida spirituale che li avrebbe aiutati nel passaggio all'aldilà mentre a Samoa era diffuso il "pe'a", tatuaggio su tutto il corpo che richiedeva 5 giorni di sopportazione al dolore ma era prova di coraggio e forza interiore. Chi riusciva nell'impresa veniva onorato con una grande festa.
In Nuova Zelanda i Maori firmavano i loro trattati disegnando fedeli repliche dei loro "moko", Negli anni venti dell'ottocento cominciò la macabra usanza di barattare pistole con teste tatuate di guerrieri Maori. | |
Spostandoci in Giappone sappiamo che il tatuaggio era praticato fin dal quinto secolo avanti Cristo ed anche qui aveva diverse valenze anche contrapposte, esso infatti poteva esser un semplice ornamento estetico ,ma veniva utilizzato anche in pratiche spirituali e per marchiare criminali.
Per sottolineare ancor più la valenza sociale delle incisioni sulla pelle in Giappone, bisogna ritornare all'imposizione nell'antico Giappone di dure leggi repressive che vietarono alla popolazione di basso rango di portare kimoni decorati. In segno di ribellione queste stesse persone cominciarono a portare, nascosti sotto i vestiti, enormi tatuaggi che coprivano tutto il corpo partendo dal collo per arrivare ai gomiti e alle ginocchia. Il Governo giapponese nel 1870 dichiarò illegale questa pratica ritenuta sovversiva, ma il tatuaggio continuò a fiorire e a prosperare nell'ombra. Nello stesso periodo la Yakuza, la mafia giapponese, adottò ben volentieri la pratica "fuorilegge" del tatuaggio su tutto il corpo. I loro disegni, molto fitti ed elaborati, rappresentavano solitamente conflitti irrisolti ma riproducevano anche simboli di qualità e caratteristiche che questi uomini intendevano emulare. Ad esempio una carpa rappresentava forza e perseveranza, un leone attitudine a compiere imprese coraggiose. La pelle più di ogni altra cosa è ciò che da sempre ha identificato un gruppo e la propria riconoscibilità,prima della necessità di coprirsi prima ancora del concetto di 'costume' c'è il bisogno di appartenenza la chiave per comprendere il variegato mondo della moda, dove ogni segno è un simbolo che racchiude un valore proprio come il tatuaggio. Chiara Aversano |
mercoledì 27 marzo 2013
Octopodinae
Nome scientifico Octopus vulgaris della famiglia Octopodinae è un mollusco appartenente alla grande classe Cephalopoda dal greco kephale= testa e pous=piede per il fatto che in questi animali il piede è unito alla testa
per cui l'istinto,la necessità è direttamente collegato alla ragione, forse per questo in numerose culture soprattutto orientali ed in particolare nella cultura giapponese il polpo è spesso associato all'erotismo.
Ibrido, misterioso , tentacolare quasi la sintesi di ciò che l'eros simboleggia, e forse per questo Hokusai lo rappresentava nelle tavole erotiche da lui dipinte.
Dalla fine degli anni 70 il fotografo giapponese Daikicki Amano reinterpreta attraverso la fotografia l'iconografia di Hokusai attraverso degli scatti repellenti e sensuali.
Amano coglie l'essenza acquatica dell'erotismo, viscido, voluttuoso, umido, dove l'animale diventa un tutt'uno con il corpo delle modelle creando una nuova creatura.
La fusione tra uomo e natura spesso raccontata attraverso dipinti nella cultura nipponica,passando dal pennello alla macchina fotografica diventa un immagine cruda, vera eppure onirica,surreale.
Mostruosità ed erotismo convivono nell'essere umano, attraverso un continuo divenire che associa forme a sensazioni.
venerdì 22 marzo 2013
''Morire non è molto più che dimenticare,,
Una citazione del grande fotografo H.Lartigue,un uomo che seppe cogliere lo spirito del suo tempo e per questo un grande artista.
Non mi interessa parlare della sua biografia per quanto sia ricca di spunti, ma credo sia importante ricordare attraverso le sue fotografie dei ''tempi moderni'' dove la modernità era nell'aria perchè tutto era in divenire.
Ad oggi abbiamo la presunzione di pensare che tutto è stato e nulla può più essere, e contemporaneamente siamo legati ad espressioni che non possono più appartenere al nostro tempo.
Dimenticare vuol dire ritrovarsi a guardare qualcosa, qualcuno , e non chiedersi come? perchè? Dimenticare vuol dire non essere curiosi, lasciare la curiosità a chi ''ha poco da fare'' e farsi abbattere da congetture contingenti.
Nel 1929 ci fu' il crollo della borsa di Wall Street e Lartigue ebbe ingenti perdite economiche, eppure la sua fotografia continuava ad esser viva più che mai ed i suoi scatti infinitamente moderni, nonstante ciò veniva messo da parte poichè in un momento di crisi raccontare la bellezza del mondo, di certo era fuori moda sulle riviste...
La mia riflessione di certo potrebbe essere argomentata a lungo, ma perderebbe la freschezza per cui una riflessione possa essere definita tale, Voglio solo dire che in un momento di crisi simile a quello del 29 l'umanità dovrebbe rifugiarsi nella bellezza, non Dimenticare perchè non è il crollo dei consumi che devi farci paura ma la mancanza di curiosità e di stupore che sta assalendo il mondo, l'avanzare del Nulla.
Non sono un ottimista di natura, anche se queste parole potrebbero far pensare il contrario, le mie parole sono mosse dall'istinto di sopravvivenza che ad oggi non coincide più con dei bisogni primari.
Chiara Aversano
giovedì 21 marzo 2013
''MARGERITA''
un cortometraggio di Alessandro Grande
Ionut Constantin
Francesca Valtorta
Marian Serban
Moni Ovadia
Ionut Constantin
Francesca Valtorta
Marian Serban
Moni Ovadia
Un cortometraggio che racconta quanto delle differenze culturali apparentemente insormontabili possano essere annullate attraverso la condivisione dell'arte.
Lavorare per ''Margerita'' è stata un esperienza di vita molto forte, ho avuto per la prima volta la possibilità di vivere da vicino la cultura ''Gipsy'', lavorando con attori Rom ed in ''Campi Rom''.
Con mio grande stupore ho avuto modo di vedere quanto attraverso il processo di ''Globalizzazione dell'immagine'' i ragazzi e le ragazze Rom vestano all''Occidentale'',e se da un lato questo aspetto mi ha stupita,dall'altra mi ha fatto riflettere sul fatto che il ''Costume'' di una cultura così antica e variopinta si stia allineando a degli standard ''Occidentali''.
Mi domando se la ''Globalizzazione'' sia un processo che allineando le differenze culturali ci faccia andare oltre l'apparenza,oppure se questo allineamento culturale non serva solo ad attutire antichi dissapori razziali attraverso una ''Colonizzazione dell immagine''.
Non siamo tutti uguali,è questa la ricchezza che ad oggi dobbiamo preservare.
Chiara Aversano
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